truffe online
Nell’articolo di oggi affrontiamo il tema delle truffe online che danneggiano l’export ‘made in Italy‘. Si tratta di raggiri ingegnosi e spesso molto ben architettati da criminali professionisti che prendono di mira aziende oneste con l’intento di sottrarre loro denaro o grossi quantitativi di merce.
Anche noi di Bell Italia abbiamo subito diversi tentativi di truffa, e in alcune circostanze c’è mancato davvero poco che cadessimo nel tranello. Proprio per questo desideriamo condividere la nostra esperienza con tutti i lettori del blog. Crediamo che essere informati sia la prima arma di difesa contro truffe e raggiri.
Non solo. Invitiamo tutti coloro che volessero aggiungere ulteriori particolari o raccontare le proprie disavventure (speriamo a lieto fine) a scriverci o a commentare l’articolo.
Una premessa è d’obbligo e riguarda l’export di food italiano. Secondo Coldiretti, il 2019 potrebbe essere un anno record per i prodotti agroalimentari italiani all’estero. I dati Istat relativi al mese di febbraio confermano un incremento a doppia cifra percentuale rispetto allo stesso periodo del 2018.
Quasi 3 miliardi di euro di food complessivamente esportati in un solo mese, con la Germania che si conferma primo partner europeo e gli USA principale acquirente extra UE. Ottime prospettive, dunque, frutto dell’impegno quotidiano delle tante aziende che investono in ricerca, sviluppo, comunicazione, per mantenere alti gli standard qualitativi dei propri prodotti e contribuire alla diffusione del ‘made in Italy’ nel mondo.
Le aziende italiane devono affrontare quotidianamente tante insidie che popolano il mercato. L’elevata tassazione, la concorrenza di nazioni estere con manodopera a costi più bassi, il fenomeno Italian Sounding, i dazi o gli embarghi, l’incertezza della Brexit, i cambi valutari fluttuanti, il difficile accesso al credito bancario… solo per citarne alcune.
Come se non bastasse ci si mettono pure i truffatori, spesso capaci di architettare piani criminali così diabolici da rovinare aziende solide e operose.
È purtroppo vero: le truffe online danneggiano seriamente l’export ‘made in Italy’. Tuttavia riteniamo giusto precisare che i criminali non guardano in faccia alla nazionalità delle potenziali vittime. Che si trovino in Germania, Francia o in qualsiasi altro posto, tutte le aziende sono appetibili e a rischio.
L’Italia, però, ha un appeal particolare per due ragioni principali. La prima è che tuttora nel nostro Paese molte PMI hanno un basso livello di informatizzazione. Si tratta di tante realtà a conduzione familiare, nelle quali il passaggio generazionale non è ancora avvenuto, che per necessità si sono adeguate alle nuove tecnologie pur non essendo ancora totalmente capaci di utilizzarle al meglio. Queste aziende sono più vulnerabili. Non dispongono della capacità di informarsi opportunamente attraverso gli strumenti del WEB per smascherare eventuali truffe prima che si compiano.
Seconda ragione: la crisi dei fatturati e le prospettive di business paventate dai truffatori. Molte aziende italiane, come detto, affrontano quotidianamente insidie di ogni tipo e sono in difficoltà. Quando un potenziale cliente si presenta con l’ordine del secolo, che potrebbe risollevare i fatturati se non le sorti dell’azienda e dei suoi dipendenti, e presenta una dettagliata (e fittizia) serie di garanzie, ci si convince di aver a che fare con un interlocutore serio.
Si tratta di una truffa escogitata diversi anni fa e che ultimamente sta tornando alla ribalta. Un tale Mike Coupe, spacciandosi per responsabile acquisti della grossa catena inglese Sainsbury’s, contatta aziende italiane del settore agroalimentare chiedendo alcune quotazioni. Ricevuti i prezzi, invia in tempi record un ordine di grossi quantitativi, specificando che il pagamento dello stesso non potrà avvenire, per statuto aziendale, prima di 7-14 giorni dal ricevimento della merce.
Ove richiesto, Coupe invia anche copia dello statuto, rendendosi disponibile alla stipula di un contratto ufficiale tra le parti. Un piano molto ben architettato, perché le mail sono assolutamente credibili: scritte in un ottimo inglese, corredate di numeri di telefono, partita IVA e logo aziendale, ovviamente taroccato. Il furbo Coupe si è anche creato un profilo LinkedIn.
Facile, dunque, cascare nel tranello, anche perché gli ordinativi sono ingenti e la prospettiva di business è davvero allettante. Peccato, però, che non esista alcun Mike Coupe nell’organigramma di Sainsbury’s e che l’indirizzo indicato per la consegna altro non sia che un temporary store, pronto ad essere svuotato non appena ricevuta la merce. Senza che venga disposto alcun pagamento, s’intende.
Vista la pericolosità della truffa, già sei anni fa l’ICE aveva invitato le aziende italiane a fare opportune verifiche (link) se contattate da fantomatici acquirenti inglesi (oltre a Sainsbury’s pare fossero coinvolte, a loro insaputa, anche le catene Tesco, Asda e Morrisons).
C’è da aggiungere, infine, che difficilmente la grande distribuzione organizzata contatta direttamente un fornitore, né tanto meno invia un ordine senza preventivamente effettuare una verifica fisica della merce. Come dire: dietro trattative così semplici e immediate è molto facile che si nasconda… una “sola”!
La truffa dell’assegno circolare riguarda fantomatici rivenditori che inviano listini promozionali di prodotti di largo consumo a prezzi davvero competitivi (anche il 30%-40% in meno rispetto al mercato su Lavazza, Ferrero, Rio Mare, ecc.). Si tratta di ottime opportunità d’acquisto, che allettano dettaglianti o piccoli grossisti.
Oltretutto i listini sono parecchio credibili perché corredati da recapiti, partita IVA esistente e indirizzo internet al quale corrisponde un sito attivo. Una volta contattato, il “fornitore-truffatore” conferma rapidamente sia le quotazioni che la disponibilità della merce. Specifica, inoltre, che il pagamento dell’ordine può avvenire alla consegna tramite assegno circolare.
Quale migliore garanzia per il cliente se non poter verificare la merce prima di saldare il conto? Tutto perfetto, ma ecco profilarsi la truffa.
Ricevuto l’ordine, il fornitore invia una fattura pro-forma e chiede al cliente, quale garanzia, di inviare via mail o Whatsapp la foto dell’assegno circolare. Altro che garanzia: l’immagine viene stampata spesso su carta semplice e il truffatore corre ad incassare l’assegno senza mai consegnare la merce.
Questo abile tranello viene attuato non solo nel settore della grande distribuzione, ma anche in altri ambiti come, ad esempio, la rivendita di auto usate. Recentemente anche il quotidiano La Repubblica ne ha parlato (link).
La truffa dei bonifici a un falso IBAN è un’abile magheggio informatico: un hacker entra nella casella di posta elettronica di un fornitore, si inserisce nelle sue comunicazioni ed invia a tutti i clienti una mail indicando il proprio codice IBAN (anziché quello del fornitore), di modo che questi utilizzino le coordinate del truffatore per saldare le fatture scadute.
Capito come funziona? Il cliente paga regolarmente e in buona fede, ma non sa che quei soldi verranno accreditati sul conto dei truffatori, che in modo abile e fraudolento hanno sostituito l’IBAN del fornitore con il proprio.
Quando il fornitore reclamerà al cliente il pagamento mai ricevuto, entrambi si accorgeranno che i soldi sono spariti e con essi anche il falso conto in banca. Questa truffa, nota con il nome di Man in the mail o Man in the Middle ha causato, secondo l’FBI, una perdita per le aziende di tutto il mondo quantificabile in 12 miliardi di dollari dal 2013 ad oggi. Una soluzione c’è ed è molto semplice: il fornitore avvisa il cliente che ogni eventuale variazione del proprio codice IBAN avverrà attraverso comunicazione scritta (non telematica).
Se anche voi avete subito una di queste truffe online oppure conoscete altri raggiri e tranelli, raccontateci la vostra esperienza nei commenti. Grazie!